Andrew Salgado, nato in Canada nel 1982, è tra i giovani artisti più promettenti del panorama internazionale. Le sue mostre sono sempre sold-out e i suoi lavori sono accolti in maniera entusiastica da molti critici d’arte di primo livello.
Lo stile in costante cambiamento di Andrew Salgado rivisita la pittura figurativa attraverso l’astrazione. A tu per tu con l’artista canadese.
D: Come è nato il tuo amore per la pittura? Come è successo che ti dedicassi così tanto ai ritratti?
Da piccolo ero un bambino molto artistico. Non avevo alcun interesse negli sport o in cose del genere, e sono stato fortunato ad avere insegnanti e mentori che in diversi periodi della mia vita hanno allevato questo tipo di passione dentro di me. Vengo da un piccola città del Canada, e ripensandoci credo che il dedicarsi all’arte è stata vista come una scelta abbastanza radicale. Per quanto riguarda i ritratti, a dire il vero cerco di evitare in tutti i modi quella parola. Il lavoro continua ad evolversi a dispetto della figura che popola la cornice.
D: Secondo te, cosa ha la pittura che le altre forme d’arte non hanno?
La pittura è una forma molto tangibile. È un’estensione della mia mano, del mio braccio, un collegamento diretto e meccanico alla mia mente. Molte altre forme possono essere remote: lavorare da un computer o in un altro paese o attraverso degli assistenti. I miei dipinti sono sempre un’estensione di me stesso in un dato momento del tempo. Penso che questo renda i dipinti piuttosto interessanti. Un architetto non si sdraia nel fango collocando i mattoni e la malta, mentre il pittore lo fa.
D: Quando hai sentito di voler diventare un artista?
Penso di averlo sempre saputo. Ad un certo punto è diventata l’unica risposta. Ero molto bravo in scienze e matematica. Mi sembra che fossi il terzo più bravo in tutto il liceo, per quanto questo possa valere. Ma non ero fatto per quello. Non riesco ad immaginarmi in un lavoro d’ufficio. Sono molto fortunato a fare quello che faccio.
Da artista desidero sempre che i miei dipinti finiscano in un ambiente che contribuisca a rendere al massimo il dramma dell’arte. Ogni forma creativa interagisce l’una con l’altra: è tutto comunicazione, tutto.
D: Se potessi incontrare un artista del passato, chi vorresti che fosse?
Francis Bacon. Leonardo da Vinci. Brunelleschi.
D: Potresti descrivere il tuo processo creativo? Quali tipi di schemi, routine e rituali hai? Hai mai avuto il blocco dell’artista? E se sì, come ne sei uscito?
Guardandolo in modo realistico, è come un “lavoro” anche se non mi piace considerarlo tale perché mi sembra di eliminare la parte romantica; in ogni caso, vado a lavoro come chiunque altro. Penso che molta gente si immagini lo studio di un artista come una fumeria d’oppio d’inizio secolo… ma in realtà non è così. È necessaria un’incredibile dose di autodisciplina per forzarsi a creare tutto il giorno tutti i giorni. E io lo faccio. Ascolto molta musica e bevo molta acqua. Sto in piedi tutto il giorno e non faccio mai pause. Se mi dimentico del pranzo, spingo fino alla fine. C’è un senso di ossessione ed evasione che rende fruttuoso l’essere un artista, o almeno penso che ci sia. C’è per me. Ho avuto recentemente un blocco dell’artista quando ho iniziato questo nuovo corpo di lavoro, Dirty Linen, che sarà esposto alla Fiera d’Arte di Città del Capo con la galleria Christopher Moller. Ho iniziato, lavorato e spinto oltre. Ho guardato alle cose semplici per trovare una direzione. Se la parola ispirazione non è corretta in questo caso, ho giocato con diverse modalità di produzione fino al momento in cui mi sono sbloccato. È stato decisivo uno sguardo più astuto al mio materiale che mi ha permesso di trovare una strada. Ma comunque devo ammettere che non è una bella sensazione quella di essere bloccati.
D: Si dice che il tuo stile di pittura sia in cambiamento costante. Pensiamo che i tuoi ritratti siano diventati più astratti rispetto al passato. Sei d’accordo? Come sono cambiati i tuoi dipinti dall’inizio ad oggi?
Lo penso anche io. Sono molto più sicuro e confidente in me stesso; sono più disposto a spingermi a provare cose nuove. Lo stille dovrebbe evolversi sempre: questa è probabilmente l’ideologia a cui aderisco di più. Niente dovrebbe essere comodo. Come è cambiato il mio lavoro? Sicuramente maneggio meglio la pittura, non c’è dubbio che la pratica quotidiana ti faccia affinare la tecnica. Mi piace quello che faccio e mente lavoro mi sento sicuro. Questo non significa che non sorgano mai dei problemi, ma oggi sono più capace di risolverli, mentre quando ero giovane capitavano più spesso dei momenti in cui avrei distrutto il dipinto.
D: Hai un momento della giornata in cui preferisci dipingere?
Mi piace la sera, anche se in realtà finisco di solito per le 19. Amo dipingere durante la pioggia forte.
D: Chi sono i soggetti preferiti dei tuoi dipinti e perché?
Ci sono una manciata di soggetti ai quali sono tornato periodicamente. Uno di questi è il pittore Sandro Kopp. Lui è anche il compagno di Tilda Swinton.
D: Hai detto che “i dipinti e la musica hanno una vera sinergia”. Che tipo di musica ascolti nel tuo studio e quale musica ispira i tuoi dipinti?
Questa è una cosa un pò sdolcinata e personale… perché non posso discuterne senza sembrare un vero nerd, e probabilmente lo sono. Ma ho una connessione emotiva profonda alla musica. La maggior parte dei dipinti hanno delle canzoni di accompagnamento; le mostre hanno delle playlist giganti che io metto in loop mentre dipingo. Oggi stavo ascoltando “Masterpiece” di Big Thief. Ho bisogno di qualcosa che abbia un pò di spinta.
D: Nel 2015 sei stato il protagonista di un documentario TV “Storytelling”, che ti ha seguito per oltre 4 mesi mentre lavoravi. Ci puoi dire qualcosa di più su questa esperienza?
Ehm… non l’ho guardato da tantissimo tempo. Penso di essere cambiato molto. Guardando me stesso vedo le mie esitazioni come persone e come artista. Penso che direi lo stesso riguardandomi indietro di 3 anni. Succedono molte cose quanto lavori da solo giorno dopo giorno. Penso sia un testamento alla propria forza di volontà.
D: Sempre nel 2015, hai curato la mostra “This Is Not The Way To Disneyland” alla Fiera dell’Arte VOLTA di Basilea. Cosa ha rappresentato per te questa mostra?
La mostra era sulla bruttezza presente nell’umanità. Era basata sulle parole apocrife dette da un dodicenne che era stato rapito nella California del sud da quattro, quattro uomini, che hanno violentato e torturato giovani ragazzi. Molto rude, indubbiamente, voleva porre l’attenzione sulla violenza.
D: I viaggi rappresentano per te una fonte d’ispirazione? Sei mai stato in Italia e in Svizzera? Questi posti ti hanno mai dato l’ispirazione per dei quadri?
Si ho viaggiato moltissimo in Italia e vado a Basilea per la Fiera dell’Arte tutti gli anni. Viaggiare è molto importante per me. La mia ultima mostra “A Room With A View of the Ocean” si basa specificatamente su un evento catartico che mi è capitato durante i miei viaggi all’estero. Ma di solito, utilizzo i viaggi come un modo per rilassarmi, pensare e rigenerarmi creativamente.
D: Ci sono delle personalità particolari o artisti che ti hanno impressionato recentemente durante le mostre d’arte?
Ho visto recentemente le mostre di Daniel Richter e di Tal R rispettivamente al Camden Arts Centre e al Victoria Miro. Sono due tra i miei preferiti.
D: Quanto è importante il design per la tua vita? Sei appassionato di interior design? È una fonte d’ispirazione per te?
Si penso che l’interior design e l’arte abbiano un rapporto; la maggioranza dei miei dipinti finisce nella casa di qualcuno, quindi da artista desidero sempre che i miei dipinti finiscano in un ambiente che contribuisca a rendere al massimo il dramma dell’arte. Penso che tutte le forme creative interagiscano… Penso che sia stupido pensare che una forma d’arte possa esistere in un vacuum. È tutto comunicazione, tutto.